Il futuro del denaro sembra inevitabilmente caratterizzato dalla sua sempre maggiore evanescenza.
Carte di credito, carte di debito, App sul cellulare, trasferimenti online, valute virtuali stanno allontanando sempre più i vecchi soldi dall’aspetto concreto che avevano in un tempo ancora recente: ovvero, quello di monete metalliche e di banconote.
Le quali a loro volta da epoche immemorabili simbolizzavano – in modo gradualmente più debole e deprivato di significato – il valore reale rappresentato dalle riserve auree custodite nei forzieri centrali, sotto il controllo diretto delle varie autorità nazionali.
E ancora prima? Ancora prima occorre risalire all’epoca del baratto. Non per niente pecunia deriva da pecus, bestiame. Io, pastore, ti cedo un certo numero di pecore così che tu, agricoltore, possa ricambiare con una quantità adeguata di sacchi di farina.
Fin qui, lo sanno tutti.
Semplice, lineare. Gli hacker poco o nulla potrebbero contro un sistema così rudimentale da essere di fatto inattaccabile – eccezion fatta per i ladri.
Piuttosto ingombrante, però: se si parla di pecore in cambio di sacchi di farina la faccenda può ancora essere funzionale. Ma se avessimo bisogno di un cappellino o di uno spazzolino da denti – e se ci mettessimo d’un tratto a trafficare con montoni, cesti di riso o tronchi d’albero – ci sentiremmo sbalzati con ogni probabilità in una situazione da commedia demenziale.
Dunque, la semplificazione simbolica operata dalla pecunia nei confronti dei beni primari appare non solo giustificata, ma anche logica e, in un certo senso, ovvia e obbligatoria.
Di simbolo in simbolo, di evanescenza in evanescenza, la strada intrapresa in epoche recenti dal denaro ha però deviato parecchio dal percorso primitivo immaginato dai nostri tris-tris-trisavoli.
Innanzi tutto, c’è la questione del risparmio e dell’accumulo. Avere denaro piccolo ed estremamente maneggevole permette il risparmio, ovvero la collezione, in tempi buoni, di somme sufficienti e necessarie a coprire il fabbisogno dei momenti grami: d’estate, nelle culture agricole primitive, si ammassa denaro bastevole per affrontare i rigori della stagione fredda. Si risparmia e poi, in tempi relativamente brevi, si gode il frutto del risparmio.
Proprio per la sua maneggevolezza, però, il denaro si presta anche a essere accumulato: ovvero ammassato in quantità superiori – anche enormemente superiori – a quelle del fabbisogno di una sola stagione avversa. Nelle culture più evolute, per così dire, non è raro vedere patrimoni che superano di gran lunga le necessità dell’intera vita dell’accumulatore; i benefici del patrimonio si estendono addirittura sugli eredi e non di rado, soprattutto se si mescolano con il potere politico, su numerose generazioni successive.
Il fenomeno dell’accumulo ha sempre una valenza negativa: poiché le risorse sono finite, anche se enormi, il fatto che qualcuno ne raccolga una quantità anormale impoverisce di fatto la comunità.
Tutto ciò che hai tu, gli altri non potranno averlo.
All’inizio il fatto è impercettibile; ma il suo moltiplicarsi segna la creazione e l’apertura della famigerata forbice sociale che vede pochi ricchi appollaiati all’apice, separati in modo crescente dalle masse povere.
Questo rende i ricchi in grado di rendere un servizio all’apparenza innocuo, in realtà micidiale: ovvero, il prestito di pecunia in misura sufficiente da permettere, a coloro che non ne hanno il potere economico, l’avvicinamento a possessi, strutture e servizi dal costo elevato, altrimenti irraggiungibili. Un servizio sempre lautamente pagato, che non di rado imbriglia in una rete feroce colui che in teoria doveva trarne vantaggio: tanto che numerose scuole spirituali, a cominciare dalla cultura cristiana, ravvisano nel prestito di soldi la radice di molti mali; e considerano il prestatore di denaro alla stregua di un grave peccatore.
Colui che intende avvicinarsi al prestito deve essere in grado di dimostrare la sua qualità di buon pagatore, cioè di essere un pagatore credibile, dal buon credito: e per fare questo non ha che una strada, quella di imbarcarsi in debiti il più possibile elevati, in modo da poterli ripagare in modo costante, uniforme e periodico. Un buon pagatore acquista credito sulla base dei debiti; e ciò gli permettere di accedere a debiti sempre più imponenti garantiti sia dalla sua testimoniata capacità di rimborso, sia – in molti casi – dalle proprietà acquisite proprio grazie ai debiti pregressi. Un meccanismo tutto sommato molto semplice.
Debiti, debiti, debiti, possibilmente crescenti…
Una delle grandi menzogne del nostro tempo sta nel far credere che la cultura attuale onori il credito; mentre, invece, la nostra cosiddetta civiltà affonda le radici e trae nutrimento dal debito, il suo esatto opposto.
Però la parola debito suona molto peggio della parola credito. Fa capire con crudo realismo ciò di cui si sta realmente parlando, e quasi nessuno vuole questo – compresi i debitori.
Il gigante con i piedi di argilla che è il nostro attuale sistema economico necessita di debiti, da ripagare con costanza e meticolosità. Se tutti all’improvviso ci mettessimo a pagare in contanti e in modo completo i beni che intendiamo acquistare – se cioè pagassimo con i soldi che effettivamente abbiamo, e non con quelli che vorremmo avere – sarebbe una catastrofe su base planetaria.
La recente esperienza pandemica, che ha abbattuto il volume degli scambi, ha messo in evidenza quanto il nostro sistema sia fragile e vulnerabile.
È arcinoto che all’inizio della loro carriera, le carte di credito venivano erogate con leggerezza, soprattutto negli Stati Uniti. Chi ne entrava in possesso, cercava di collezionarne un gran numero. Perché no? si pensava. Sono piene di soldi, posso realizzare tutti i miei sogni. A pagare ci sarà sempre tempo, un sistema lo troveremo.
Non funzionò così. Gran parte dell’esercito di homeless che ancora oggi popolano il continente nordamericano sono figli proprio di quella mentalità sballatissima.
Adesso le cose sono cambiate radicalmente: ma questo non significa in meglio. Per ovviare al problema – cioè, per prestare soldi a persone sicure – si ricorre a complicati calcoli che vogliono dimostrare la capacità del soggetto a onorare i debiti. E qual è il metodo migliore? Semplice: affidare il risultato di questo complicati calcoli a un numero unico, in gran voga oggi negli Stati Uniti. Il Credit Score. Un semplice numero di tre cifre determina la qualità dell’essere umano. Si parte da 400 e si arriva a 800: di qua i cattivi, di là i buoni. Tutto è pubblico, tutti sanno tutto di tutti. Non ti puoi sottrarre alla valutazione. Se per caso osi pensare con la tua testa e ti rifiuti comperare a rate o con carte di credito, il tuo credito si azzera immediatamente: la persona che tiene soldi concreti sempre a disposizione e che li usa con parsimonia, pagando subito tutto il costo di ciò che compra, è considerato un cattivo soggetto.
Il suo è un comportamento da scoraggiare a qualunque costo.
Anche se una persona non ha intenzione di accedere ad alcun debito – che comunque su queste basi non gli verrebbe sicuramente concesso – la sua reputazione pubblica è in ogni caso compromessa.
Vuoi pensare con la tua testa? Ti credi migliore? Ti diverti a sabotare questo sistema economico imperante?
Non ti lamentare delle conseguenze… a cominciare dal fatto che tutti sapranno che vali poco.
Il vero problema sta nel passaggio impercettibile – e pilotato – che c’è stato tra straordinario e ordinario. Vale a dire, un servizio pagato (ma non strapagato) di prestito può essere effettivamente utile in casi del tutto straordinari nella vita di un essere umano; qualcosa a cui tendenzialmente non accedere mai, a parte quei rari casi in cui possa venir considerato il male minore. Il male minore, beninteso: non certo un beneficio, perché di male in ogni caso effettivamente si tratta.
I soldi sono nati per essere usati quando si hanno; non quando non si hanno.
E invece.
Invece, assistiamo al fenomeno per cui tutto può essere acquistato con carte elettroniche (e adesso anche con sistemi ancora più avanzati delle carte), che in larga parte si riferiscono a pecunia che l’utente metterà, ma che non è ancora presente sul suo conto; e al fenomeno della rateazione, collegato strettamente al precedente, che permette di pagare in modo dilazionato, con comode rate mensili, la cui somma finale, non di rado, è mostruosamente superiore all’importo originario.
Non importa, noi siamo contenti così. Ci hanno fatti diventare così, e noi lo siamo diventati.
Ben pochi comprendono davvero i termini che per presunta chiarezza vengono enunciati nelle pubblicità bancarie per convincere ad accedere a questa o a quella rateazione; ben pochi fanno i conti fino in fondo; ben pochi capiscono che pagando con sistemi elettronici si viene tracciati ben oltre il lecito e che le nostre abitudini di consumo verranno poi analizzate, schedate, interpretate al fine di proporci nuovi acquisti in linea con i nostri desideri. Sempre più pressanti, sempre più cari.
Da pagare rigorosamente con debiti, è ovvio. Questo è quello che ci si aspetta da noi.
È il consumismo, bellezza.
Poi, come al solito, c’è un’altra faccenda, molto più filosofica delle precedenti: quante delle cose che acquistiamo con leggerezza, avvolgendoci nella tela di ragno, sono davvero indispensabili? Quante delle cose acquistate in passato hanno davvero incrementato la nostra felicità? Quanto ci è venuta a costare questa eccessiva e insensata ricerca della benessere e quante risorse ha sottratto alla nostra felicità vera che, come tutti sappiamo, non si basa principalmente sul possesso dei beni materiali?
We buy things we don’t need with money we don’t have to impress people we don’t like, si dice nel film Fight Club del 1999; e la frase risale allo scrittore Chuck Palahniuk.
Comperiamo cose che non ci servono con soldi che non abbiamo per fare colpo su persone che non ci piacciono.
Tutto qui.