Capire, in lingua italiana, è un verbo che viene utilizzato principalmente per indicare l’atto della comprensione. Hai capito? siamo soliti domandare dopo una spiegazione. Non ci capisco nulla è il mantra che accompagna le situazioni di disagio intellettuale. Ardue da capire, appunto.
Se però ci avviciniamo alla radice etimologica del verbo, possiamo valorizzarne alcuni lati interessanti. Il verbo latino da cui deriva quello italiano è căpĕre, il cui significato può essere descritto nella nostra lingua con verbi quali afferrare, prendere, raggiungere, ottenere, impossessarsi, conquistare e tanti altri affini. Il che spiega, tra l’altro, il significato della parola italiana capienza, che sta a indicare l’atto e l’effetto del contenere al proprio interno qualcosa (di solito un liquido).
Quando nel nostro cervello entra un concetto, allora possiamo ben dire di averlo capito.
Però il cervello, macchina meravigliosa, si comporta anche in modi strani, talvolta illogici. Con la complicità delle tendenze innate, del vissuto personale e dell’indole che ne deriva siamo portati – quando iniziamo ad affrontare un qualsiasi problema – a ritenere la prima informazione che ci viene recapitata: tendiamo cioè a formare l’opinione sulla base di una impressione temporanea, soprattutto se viene proposta utilizzando un linguaggio sintetico e icastico. Poche parole per descrivere un dramma complesso o una situazione secolare? Perfetto: i nostri neuroni non domandano di meglio.
Non c’è bisogno di cavillare o sottilizzare: quello che sembra veritiero è lì, a portata di mano, indiscutibile, scolpito nella pietra. Il fatto che non esistano prove, o che siano molto labili – magari riportate di seconda o terza mano – e che le fonti siano spesso totalmente sconosciute, non sembra preoccuparci più di tanto.
È per questo che mai quanto in questo periodo le notizie false hanno raggiunto e superato quelle vere. Per definirle si è addirittura adottata una terminologia internazionale, ed è abituale ormai sentire parlare di fake news. La tendenza a credere alla prima cosa che si sente è così forte che da sola basta a spiegare abbondantemente il successo delle derive complottistiche che ha assunto una certa informazione e, più in generale, una larga fetta dell’opinione pubblica.
Il detto/non detto non ha bisogno di prove ed è spesso avvincente e drammatico. Ce n’è più che abbastanza per avere successo.
Alcuni esempi? Non ne mancano certo, in particolare di questi tempi. La pandemia, i conseguenti vaccini, la guerra tra Ucraina e Russia, il riscaldamento climatico… e via elencando.
Quando si sposa una tesi in molti casi lo si fa fermandosi ai preconcetti, senza arrivare ai concetti. La stessa adesione a questa o quella ideologia politica risponde in fondo alla stessa logica: ascoltiamo una sola campana, che spesso è quella che suona meglio, ovvero che si presenta più attraente e luccicante. Nulla a che vedere con la reale bontà, pertinenza o pregnanza del messaggio proposto. Questo spiega piuttosto bene il successo di leader politici che propagandano in modo brillante teorie obsolete o antiumane; e il discorso si potrebbe estendere al campo militare, a quello commerciale e persino a quello scientifico.
Già, ma l’equidistanza è difficile, faticosa. La capacità di allontanarsi, guardare dall’esterno e ragionare – per quanto possibile – in autonomia richiede un allenamento costante, deve strutturarsi nel nostro modo di approcciarci alla conoscenza e deriva, come molte altre realtà che sostanziano il nostro mondo più intimo, dalla educazione.
Non c’è vera comprensione se un po’ dell’altro non entra in noi. Questo rende la faccenda ancora più affascinante e complessa.
L’abitudine, al contrario, genera mostri. Vivere sempre in un determinato ambiente, frequentare gente che la pensa in modo omogeneo e univoco, avere la tendenza a trovare la soluzione più semplificata inducono a un approccio senza sfumature, dove tutto il torto sta da una parte e tutta la ragione dall’altra. Un modo di agire che è trasferibile in un blocco unico a chi sta vicino, che a sua volta lo trasferirà al suo vicino.
La pluralità di pensiero, in ogni caso, è una ricchezza: la musica polifonica è nata dopo quella monodica ed è il frutto di un pensiero più complesso ed evoluto. Se la prima è eseguibile a memoria, la seconda richiede studio, applicazione, connessione con gli altri.
Il segreto della comprensione sta proprio nella capacità e, prima ancora, nell’interesse a interagire con l’altro fino a vestirne i panni, calandosi per quanto possibile nel suo mondo interiore. Condotta bene, una operazione del genere può aprire prospettive di estremo interesse.
Naturalmente, tutto ciò non deve servire a giustificare alcunché: l’arrogante, il ladro e il pigro resteranno ciò che sono, ed è giusto definirli con gli aggettivi adatti, anche se molto espliciti.
Capire non è giustificare: cionondimeno, cercare di vivere almeno per qualche istante angosce e beatitutidini, ingenuità e rabbie dell’altro ci avvicinerà di molto alla comprensione vera e non di rado porterà a un sostanziale cambio di approccio nel rapporto interpersonale.
Per le realtà esterne, invece, il discorso è sensibilmente diverso.
Per la loro capacità di venire oggettivati, avvenimenti e situazioni si prestano a essere considerati almeno da due punti di vista diversi: dal nord e dal sud, dalla destra e dalla sinistra, dai neri e dai bianchi, dagli israeliani e dai palestinesi, dai ricchi e dai poveri, dagli umanisti e dagli scienziati… e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Nulla è univoco. Una realtà si presta a essere considerata semplicemente per quello che appare, oppure – e gli avvenimenti attuali ce lo mostrano in modo evidentissimo – come frutto di complotti e trame di lobbies più o meno occulte. D’altronde, non dare peso alle teorie complottistiche non significa neppure ammettere il contrario, ovvero che non siano mai e in nessun luogo esistiti complotti.
È l’eterno conflitto tra Biancaneve e Barbablù, di cui abbiamo già riferito.
La non univocità del reale è, a ben guardare, una gran fortuna, perché rende la vita plastica e irripetibile, polisemica e polivalente, soggetta a diverse letture che inevitabilmente portano a diverse soluzioni. E rende il processo cognitivo e la strutturazione dell’opinione personale una risorsa formativa tra le più fertili della intera esistenza umana.
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