Entrando in un centro commerciale americano in un giorno assolato d’estate (vivo nel sud-ovest degli Stati Uniti) sono stato colpito da una folata di aria gelida.
Un’esperienza comune anche ad altri luoghi pubblici, e non solo americani. Per aumentare l’effetto di refrigerio, grandi pale rotanti diffondevano il gelo siberiano in ogni più riposto andito dello store. Molti dei frequentatori del grande spazio erano costretti a indossare golfini multicolori e rigorosamente dernier cri. Proprio un bello spettacolo, nel complesso.
Ambulatori medici e supermercati, automobili, palestre e case private, sono tutti accomunati da una unica caratteristica: essere freddi – gelidi – d’estate e caldi – bollenti – d’inverno. All’interno di questi edifici occorre munirsi di maglioncino per affrontare i rigori della bella stagione e canottiera per fronteggiare l’afa invernale.
Un nonsenso? Sì, ovvio. E neanche dei peggiori, in una società che ha smarrito strade ben più importanti.
Un piccolo segnale di come la volontà di dominare gli elementi, che ha preso le forme sublimi dell’arte nel glorioso periodo del Rinascimento, oggi si intrufola in evenienze quotidiane così minuscole da sembrare insignificanti.
Ma insignificanti, queste evenienze, non lo sono per nulla.
Cominciamo dagli aspetti altruistici della faccenda: ovvero quelli legati alle questioni ambientali. Il bene di tutti, come spesso accade, coincide anche con quello individuale. Vivere in un mondo pulito fa bene a tutti e anche a me: parlare di altruismo è dunque soltanto un artificio retorico utile per incanalare il discorso.
Sull’inquinamento ambientale prodotto dall’aria condizionata il discorso è persin troppo facile: studi condotti da prestigiose istituzioni – uno fra tutti, quello effettuato nel 2017 da scienziati della Università del Wisconsin e riportato sul sito della American Chemical Society (ACS) – mettono in evidenza il consumo smisurato di energia elettrica necessario per raffreddare gli ambienti nei quali viviamo ogni giorno e, di conseguenza, il conseguente riscaldamento del pianeta, visto che l’energia necessaria viene ricavata da fonti fossili non rinnovabili. E ancora: l’aumento di micropolveri, il danno allo strato di ozono, il possibile effetto aerosol di batteri e virus (tornato di gran moda con la faccenda del Covid 19) se l’impianto ha difetti anche minimi nel filtraggio… e si potrebbe continuare a lungo. Purtroppo non sono uno specialista del settore; e, forse, personalmente non ho neanche un interesse diretto ad approfondire la faccenda.
In realtà, questi aspetti del problema mi sembrano secondari perché ritengo che il problema primario sia di natura pedagogica o, se si preferisce, filosofica. Non tutti gli osservatori pongono su di esso lo stesso accento, forse perché si tratta di un argomento scomodo e impopolare, essendo collegato dritto e filato al concetto di autodisciplina e di dominio di sé.
Intendo parlarne apertamente, sfidando il disprezzo e il ridicolo, anche perché, come ho detto, lo considero di gran lunga più importante del primo.
Il fatto che si voglia rendere respirabile l’aria dell’ambiente in cui si vive è un diritto-dovere sacrosanto e nessuno può sognarsi di contestarlo, soprattutto oggi che i mezzi tecnici a disposizione lo consentono.
Quello che si deve stigmatizzare semmai è la tendenza eccessiva a soddisfare ogni necessità, a far tacere quanto prima ogni stimolo negativo, anche minimo. A non voler provare mai alcun fastidio. Ad avere il terrore della sofferenza fisica, persino quando trascurabile o futuribile. L’uso eccessivo dell’aria condizionata non è che una delle mille facce della stessa questione.