Non ci vogliono bene, concluse il mio interlocutore, con un sorriso triste.
Si riferiva al resto dell’umanità, colpevole, a suo dire, di studiare strategie oscure e crudeli allo scopo di privarci di soldi, potere e salute.
Ero incappato nella predica appassionata di un esponente no-vax: un mio giovane collega sicuramente brillante, intelligente e simpatico che approfittava della mia manifesta benevolenza, che allora come oggi provo per lui, per tentare di arruolarmi tra le schiere dei complottisti a oltranza.
Un rito che somiglia molto agli indottrinamenti di certe sette religiose, i cui adepti sono soliti bloccare la gente per strada per esporre teorie religiose più o meno complicate e considerazioni teologiche di desolante pochezza. In questi casi, le vie possibili sono due: o ti accingi ad ascoltare, di solito per timidezza e pur sapendo che così l’incontro non avrà una durata breve; oppure reagisci in modo duro e chiudi bruscamente la conversazione.
Scelsi la prima strada.
Alla fine, dopo avere ascoltato in modo piuttosto disinteressato la lunga e ormai conosciutissima sfilza di luoghi comuni – nascondendomi dietro un sorriso tiepido e beneducato – e dopo avere registrato i rumori di fondo contrappuntati da parole quali dittatura sanitaria, complotti, poteri forti, non potei fare a meno di mettermi a pensare per conto mio a quella ultima parte del discorso: Non ci vogliono bene.
Innanzi tutto: chi non vuole bene a chi? Gli altri non ci vogliono bene? Tutti gli altri non vogliono bene solo a me, o una parte di altri non ama la restante parte di altri, pur venendo ricambiata con amore assoluto e incondizionato? Oppure ancora, chiunque odia chiunque altro?
Rapidamente, le considerazioni interne scivolarono dalla teoresi filosofica al teatro dell’assurdo.
Riuscii a sganciarmi, infine, dopo avere promesso (mentendo) che ci avrei pensato su.
Poi, però, incominciai a riflettere seriamente su quell’aspetto particolare, che è uno dei più importanti della nostra intera esistenza.
Non ci vogliono bene. Ma davvero?
Santo cielo, la verità era lì, davanti agli occhi di tutti, e da millenni; solo che io non ci avevo mai badato, preso come ero – e come sono – da geremiadi, recriminazioni e rimbrotti quasi ininterrotti.
Caro mio, mi sono detto, il mondo è pieno zeppo di benevolenza, solo che tu non lo guardi e, di conseguenza, non lo vedi. Ci vogliono bene, altroché!
Quasi tutte le grandi realtà umane sono frutto di una scelta positiva, ma non è naturale – o non lo è più – considerare la faccenda da questo punto di vista.
Il motivo? Si rischia il ridicolo, come il Candide di voltairiana memoria. Nella migliore delle ipotesi si può venire considerati una Biancaneve fuori tempo massimo.
Ma comunque, tra Biancaneve e Barbalù c’è una gran bella differenza.
Un conto è asserire leibnitzianamente che viviamo nel migliore dei mondi possibili; un conto è vedere tranelli, inganni e complotti in ogni dove. Giungere a pensare, di conseguenza, che solo l’albero cada rumorosamente e che nessuna foresta, nel silenzio, cresca rigogliosa.
Non c’ è neppure una persona al mondo che potrebbe negare l’esistenza del male e della sua principale caratteristica, ovvero la sua estrema visibilità, legata alla capacità di recare danno, che spesso supera la capacità preventiva o riparatrice del bene.
Per dirla in termini chiari: una bomba quando esplode fa numerose vittime, e in un istante; ma la creazione di un ospedale richiede una quantità di tempo incommensurabilmente superiore e fa decisamente meno notizia.
Eppure.
Eppure, quanto amore in piú – e se non vi piace la parola amore usate benevolenza, o apertura all’altro, o… quello che vi pare – richiede e ottiene la costruzione di un ospedale?
Fin dagli albori della sua presenza su questo pianeta, l’uomo ha albergato nel suo animo tendenze positive, verso l’alto: non solo rapimenti o stupri, congiure o battaglie, ma anche la elaborazione di strategie di vita via via più complesse e raffinate, invenzioni tecnologiche, creazioni d’arte.
E che cosa è il bello, se non una delle molteplici forme in cui si concretizza l’amore? Lo studio tecnologico (prima) e scientifico (poi) non è forse la realizzazione pratica di una tensione verso l’altro?
L’artista è per sua natura narcisista; ma è difficile sostenere che la molla che lo spinge a creare sia unicamente la sua preoccupazione di sopravvivere alla morte corporale o di venire citato nelle future enciclopedie. Si crea, si studia, si lavora perché il dna dell’essere umano – piaccia o non piaccia – lo porta ad alzare lo sguardo verso l’alto.
Nel corso dei secoli l’uomo ha costruito case, scuole, ospedali; ha tracciato strade e scritto libri; ha generato sistemi giuridici complessi, applicabili a ogni singolo aspetto della vita sociale; ha creato sistemi di controllo e di protezione; ha dato libero sfogo alla curiosità indagando a ritroso nel tempo, oppure puntando gli occhi sull’infinitamente grande e sull’infinitamente piccolo.
Una parte non enorme della popolazione umana – i tecnocrati, sicuramente in minoranza – ha di fatto creato un sistema produttivo che inquina il pianeta; viene contrastata da una maggioranza di persone, assai meno potente purtroppo, che ha dato vita al movimento ecologista, oggi diffuso in modo capillare, soprattutto tra i giovani. E si potrebbe continuare a lungo.
Una quantità di amore impressionante, assolutamente incalcolabile.
Milioni e milioni di persone hanno lavorato in silenzio e sono finite nell’oblio, così come l’eco delle loro opere. Ma ciò che è stato creato ha e avrà sempre una valenza positiva, e in origine è stato concepito per inalzare – magari di una quantità infinitesima – il tasso complessivo di felicità.
Siamo abituati a considerare atto di amore la protezione di un bambino, il salvataggio di un cane, la cura di un vecchio o di un ammalato. Pensiamo che i medici impegnati sui fronti di guerra siano un grande esempio di altruismo (ed è così, ovviamente); ma una casalinga che non manca un solo giorno alle faccende domestiche non entra neppure per un istante nella considerazione collettiva.
In questo modo ci perdiamo molti dettagli e finiamo per credere che mettere sul fuoco una caffettiera o lavare i piatti, preparare bene una lezione o essere precisi sul lavoro siano nulla più che routine – o al massimo un dovere. Se guardiamo bene, tuttavia, scopriremo che l’avere promosso gli atti generosi e positivi al rango di dovere (devi fare bene i compiti, devi eseguire quel dato esercizio al massimo delle tue possibilità, non devi trattare male il nonno…) altro non è che una delle infinite forme possibili di apertura feconda all’altro.
Una madre che fa la pasta in casa con tutta la sapienza che le hanno tramandato le generazioni passate, un medico che non si dà per vinto anche quando gli altri hanno lasciato la partita, un amico che ti ascolta nonostante la stanchezza non finiranno mai sulle cronache, ma non di meno partecipano a un torrente di amore di proporzioni colossali che è nato e finirà con l’umanità.
Troppo ottimismo? Può darsi.
Sintetizzare l’eterna, enorme battaglia tra bene e male è utopico, soprattutto in poche parole. Se ne sono occupati, in ogni epoca, storiografi e filosofi, artisti, teologi e letterati, e non sono mai giunti a un punto conclusivo.
In effetti, è impossibile pesare il bene e il male; anche se riuscissimo a impacchettare tutti gli atti umani, e a porli sui bracci di una bilancia immaginaria, sarebbe difficile in molti casi attribuire a certi comportamenti o a determinate reazioni una valenza positiva o negativa. Molti aspetti dell’umano agire nascono e si svolgono all’ombra dell’ambiguità, e ciò che è bene e buono in certi ambienti, epoche o condizioni, può essere giudicato in modo completamente differente quando quelle condizioni, quelle epoche e quegli ambienti cambiano o si trasformano.
L’importante è non perdere mai di vista il bene che ci circonda – tutto! – e che di volta in volta può assumere l’aspetto di una semplice aiuola ben curata o di un radiotelescopio che esplora le profondità del cosmo.
Questo vale anche per i tempi di guerra, come quelli che stiamo disgraziatamente (e insensatamente) vivendo. Scovare bene e amore tra i corpi dilaniati dalle granate non è facile, ma questo non significa che non vada fatto.
Sento sempre più forte il rombo che si avvicina, eppure credo tuttora nell’intima bontà dell’uomo, scriveva Anna Frank; e la sua grazia ingenua, nonostante il tragico epilogo, è una chiave di lettura che meriterebbe molta considerazione in più.
Alfredo Ferrero
Marzo 2022
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