La vita spesso fa fatica ad andare avanti; perlomeno, va avanti, ma non nel modo in cui noi vorremmo che andasse.
Si compiono errori, e possono essere occasionali. In molti casi, però, la deviazione dalla linea retta può far parte di un’abitudine che il tempo trasforma gradualmente in vizio.
Si ripresentano sempre le stesse mancanze, gli stessi comportamenti, le stesse ricadute. Facciamo propositi e poi non li manteniamo. Ci illudiamo che le brutte abitudini siano dietro le spalle, e invece ce le ritroviamo in faccia.
Inevitabile, a questo punto, che sorga nel nostro animo un senso di profonda frustrazione: ogni giorno di più sembra di partecipare a una brutta commedia, dove ogni battuta e il finale sono prevedibili.
Il repertorio dei problemi, grandi o piccoli, è quasi infinito. Quella certa persona mi irrita: quando sono lontano da lei mi figuro di riuscire ad avere un atteggiamento più amichevole, di scambiare sorridendo qualche battuta, di cercare di valutare quello che ha di positivo – perché di sicuro ha lati positivi – tralasciando gli aspetti che inceppano il rapporto; ed ecco che poi, quando la vedo in carne ed ossa, come prima cosa mi balzano agli occhi le cose negative e il senso di irritazione ricomincia esattamente là dove lo avevo lasciato.
Questo vale in famiglia, sul lavoro con colleghi e superiori, per strada mentre cammino o guido la macchina, o in banca, dove i regolamenti sembrano fatti apposta per danneggiarmi o per farmi sentire, nella migliore delle ipotesi, un imbecille; quando un poliziotto mi eleva una contravvenzione, che quasi sempre percepisco come ingiusta e frutto di un intollerabile sopruso.
Le situazioni che possono generare problemi ripetitivi nel tempo sono molteplici, e vanno dall’aggressività alle dipendenze di ogni tipo, dalla tendenza a rifuggire le verità scomode alle piccole e grandi disonestà. La lista dei cosiddetti sette peccati capitali fornisce un panorama suggestivo ma non certo completo. L’importanza di riuscire a elencare tutti gli scenari negativi possibili, comunque, non è poi molta, perché in realtà le strategie per combatterli sono molto simili fra loro.
È l’effetto della vita moderna, verrebbe da dire; sì, ma è lecito immaginare che anche le vite del passato avessero i loro buoni ostacoli più o meno insormontabili. Guerre e pogrom, torture e persecuzioni non sono certo una invenzione dei nostri giorni: l’arsenale del male si è affinato nel corso dei secoli principalmente perché nessuno degli attori ha mai attuato su di sé un serio ed efficace percorso spirituale basato principalmente sulla continua revisione di vita.
Qualcuno ha detto che se ogni persona al mondo meditasse almeno dieci minuti al giorno, le guerre di tutto il mondo sparirebbero nel giro di una generazione.
Questo dipende dal fatto che le varie scuole di meditazione portano a una seria analisi non solo della situazione in cui ci troviamo a vivere, ma anche della nostra condotta quotidiana: è quello che un tempo si chiamava esame di coscienza e che veniva effettuato principalmente di sera, prima di coricarsi e ripensando alle azioni svolte durante l’intera giornata – e che aiuta a far sì che le varie cadute e mancanze rimangano occasionali, sporadiche e non si trasformino in abitudini inveterate. Quindi, le guerre andrebbero incontro a un veloce esaurimento perché prima di tutto si sanerebbe la maggior parte dei confilitti interni di chi le provoca.
L’andare avanti alla cieca, invece, giorno dopo giorno, senza avere nulla in prospettiva e senza sedersi a fine giornata per valutare quello che è stato fatto, è una potente concausa nel processo che porta alla nascita e alla crescita dei vizi. Di fronte a stimoli sempre uguali, la mente reagisce sempre nello stesso modo: spesso ci sembra di essere dalla parte giusta, come succede quando abbiamo reazioni esageratamente aggressive di fronte a un torto vero o presunto. Tuttavia, anche quando percepiamo qualcosa di stonato nel nostro comportamento, facciamo una gran fatica a trovare la forza necessaria e la motivazione per cambiare rotta. Si compie l’azione malata pensando Tanto avrò sempre del tempo per aggiustare il tiro. In realtà non ci vuole molto tempo a capire che il tiro non si aggiusta facilmente, né con sforzi da parte nostra, né tantomeno da soli; e quel certo comportamento molto frequente, è destinato a diventare abitudine e infine vizio.
Non siamo così stolti da non accorgerci di quello che sta succedendo: spesso, quando ci rendiamo conto di essere caduti, proviamo pentimento o ci sentiamo delusi del nostro comportamento. Perdiamo stima nei nostri confronti. Il circolo vizioso è ormai chiuso e uscirne non è affatto semplice.
Semplice no, ma si può fare. Amarsi. Bisogna amarsi.
Argomento spinoso. Seriamente: come posso amare un mio difetto? Per di più, come è possibile apprezzare una entità che, in grado diverso, mi rovina la vita in qualsiasi modo, avvelena i rapporti interpersonali, blocca le mie azioni?
In effetti, non è il vizio che dobbiamo amare, ma noi stessi, anche mentre siamo soggetti a una azione viziosa. Riuscire a rispettarsi e a stimarsi anche dopo avere compiuto un atto di cui ci siamo poi pentiti è una impresa che richiede una forte motivazione.
Un buon punto di partenza è amarsi come si ama qualcun altro quando lo si ama veramente.
Pensiamo a un figlio difficile: per quanto sia difficile, molto raramente il padre o la madre gli gireranno le spalle e lo lasceranno al suo destino. Potranno essere severi, litigare spesso, sentirsi a tratti delusi: tuttavia, a parte i casi davvero estremi, non cominceranno mai a ignorarlo o a sentirlo come indifferente.
Ecco, qualcosa del genere dobbiamo farlo con i nostri difetti, soprattutto con quelli ricorrenti: essere severi, litigare con noi stessi, provare scoraggiamento e delusione; ma mai e poi mai ammainare la bandiera e dichiarare la disfatta. Lasciare perdere, tanto non ce la posso fare.
Arrendersi non è una strategia vincente; anzi, non è proprio una strategia.
Piuttosto, occorre entrare in un rapporto nuovo con l’errore: un rapporto dinamico, non statico. Ovvero, un rapporto libero fatto di obbiettivi, ricognizioni serie ma serene, momenti di autotenerezza alternati a decisioni severe. E poi ancora: rimettersi di continuo in discossione variando il nosto punto di vista quando lo percepiamo troppo comodo; affidarsi alle cure di qualcuno che reputiamo serio e competente; utilizzare un cammino psicologico e spirituale, applicando le tecniche che propone.
Non c’è molta differenza tra l’educare noi stessi – a qualunque età – ed educare un figlio difficile. Solo nel momento in cui proveremo piacere a stare da soli con noi stessi, non percependo questo come solitudine, ma al contrario trovando proprio qui la forza per andare incontro agli altri con spirito rinnovato, ecco, quello sarà il momento in cui potremo dire di avere imboccato la strada giusta.