È il giorno istituito perché non siano dimenticate le vittime della Shoah. C’è un senso specifico che riguarda il mondo ebraico e il suo particolare destino; e però anche un senso che riguarda tutti, perché il confronto con ciò che quel destino significa è determinante per ciascuno. Ma cosa c’è nella radice ebraica di così importante, al di là che gli Ebrei stessi vi siano stati e vi siano fedeli, al punto che volerla estirpare va a minare la nostra stessa umanità? E quale luce da essa si riversa su tutti gli altri crimini della vicenda umana?
È dal sorgere degli antichi imperi che la storia è storia di potenza, che procede su cumuli di vittime. E la gloria, che si vuol pensare dispensata dal divino, è gloria dei vincenti, e gli sconfitti precipitano nell’ignominia. Ma chi potrà ascoltare la voce di questi ultimi, e scandagliare il lato oscuro della storia, e riconoscere un valore anche negli ultimi? Chi potrà ancora scorgere le tracce cancellate, e riportare in vita chi è stato precipitato nella morte? E cosa è la memoria se non questo, se non la voce del silenzio, in cui ogni altra voce non può che spegnersi? E che vittoria si può ancora vantare, che non appaia, di fronte a ciò, ignominiosa?
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