Pacifisti ed ecologisti, femministe e vegani, medici in prima linea nei fronti di guerra, animalisti, ambientalisti. Mediamente sono molto giovani, agguerriti, entusiasti, informatissimi.
Sono i credenti dell’ultima generazione, coloro che hanno assunto su si sé il compito di cambiare la faccia del mondo. Trasmettendo cultura e saperi alle generazioni future; eliminando – per quanto possibile – vizi e storture del mondo contemporaneo. A quanto pare, stanno prendendo il loro compito molto seriamente.
Le loro attività, quando sono strutturate, culminano nelle organizzazioni non governative; ma spesso prendono forme ancora più immediate, quali le proteste dirette con manifestazioni di piazza, cortei, sit-in pubblici e scioperi della fame. Le cronache ci hanno abituato anche alle notizie della deriva violenta a cui giunge una parte di questo fiume di proteste e che spesso fanno ombra alle forme di dissenso più pacifico.
Si sente dire che la società si è secolarizzata, ovvero che ha perso orizzonti sacri, prospettive divine e visioni trascendentali. D’altro canto si sente anche dire che chi non crede in Dio crede in tutto. Entrambe le affermazioni contengono qualcosa di vero e in qualche modo si compenetrano e si completano.
La innegabile secolarizzazione delle società occidentali lascia un buco, anzi, una voragine; eppure la ricerca del trascendente è insita nell’animo dell’uomo e la sua quantità con l’andare del tempo è sempre la stessa. Cambiano obbiettivi e linguaggi, ma non l’impulso ad andare oltre. La voglia di dare un senso profondo e una prospettiva trascendente alla propria vita è fortissima in ogni essere umano, tanto più se giovane e carico di energie e ideali.
La tensione religiosa verso il sacro per secoli ha stimolato i giovani ad abbracciare vite monacali durissime per le quali – e non solo nei cristianesimi – vigevano regole apparentemente disumane che portavano il soggetto a una vita casta, povera e dedita alla obbedienza verso una autorità terrena superiore. Non sembra azzardato asserire che la castità e la povertà, oggi, sono state sostituite dal volontariato. E dal suo corredo di regole basate sulla dedizione e sul disinteresse per la ricchezza personale.
Il volontariato non è una carriera e chi lo pratica seriamente non vedrà il proprio patrimonio arricchirsi neppure di un centesimo. Anzi.
Parallelamente, i modelli capitalistici estremi soprattutto sui giovani – che dovrebbero esserne più affascinati – hanno provocato almeno parzialmente una crisi di rigetto. Ne abbiamo la riprova nei romanzi, nelle poesie e nelle pellicole cinematografiche che trattano l’argomento, spesso analizzandolo in modo impietoso. È nella memoria di tutti la critica feroce del modo moderno di vivere la vita effettuata dal film Il lupo di Wall Street, nel quale il carrierista viene descritto con tratti quasi criminali. E non è certo un esempio isolato: cinema e letteratura tornano spesso, anche se con angolazioni differenti, sull’argomento. La ricerca sfrenata del prestigio sociale e del profitto personale sembra avere rallentato la corsa e un esercito trasversale di giovani di ogni paese sembra parlare ogni giorno di più un linguaggio comune, che dalla pace e dal rispetto ambientale trae continua ispirazione e ragione di esistere.
I diktat statali delle dittature più o meno striscianti faticano a farsi strada e a mutare nella sostanza quello che la base pensa e crede.
Tutto questo, anche se probabilmente ingenuo, deve suonare come un messaggio ottimistico: la natura dell’essere umano è intimamente buona e tutto concorre verso il bene.
Le guerre sono ancora molte – troppe; e i recenti, incredibili avvenimenti europei confermano questa tragica affermazione – ma non fugge a nessuno che importanti percentuali di popolazione, spesso da entrambi gli schieramenti, si dissociano nel modo più radicale possibile dalle retoriche governative e gettano ponti di solidarietà al di qua e al di là degli sbarramenti. Poca cosa, certo; ma è un indizio inedito, in una umanità che fino all’altro ieri era imbrigliata nei paradigmi nazionali e nazionalistici, e se voleva opporsi agli ordini superiori nei momenti di conflitto sapeva bene di avere davanti a sé, come unica via d’uscita, il plotone di esecuzione.
L’azione velenosa più sottile e pericolosa di ogni dittatura è quella di creare una retorica invitante e apparentemente amichevole, nella quale i più finiscono per identificarsi, giungendo quasi senza sforzo al sacrificio estremo.
L’impressione generale è che l’umanità lentamente e con fatica si stia liberando di tutti i fardelli nazionalistici estremi e delle ottiche miopi, a favore di una visione che guarda al di là dei tempi stretti e dei limiti angusti.
E’ il futuro quello che interessa; non un piano quinquennale o una strategia a medio raggio.
I giovani hanno sete di Assoluto: l’indubbio crollo dell’interesse confessionale delle religioni (non tutte) non deve trarre in inganno. I dogmi non interessano più come una volta, probabilmente; forse, spaventano. Quella che rimane inalterata è la voglia di vivere la vita con un impegno che ha ancora una connotazione religiosa: ovvero, aderendo a regole che trascendono l’individuo e improntate alla voglia di fare il bene, e di farlo bene.
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