In principio erano… i princìpi.
Forse poche volte nella vita ci siamo fermati a riflettere sul vero significato della parola principio. Ovvero, sul fatto che esiste non soltanto una sinonimia, ma una vera e propria identità tra principio, inteso come inizio, e principio nel significato di fondamento dottrinale o filosofico oppure di criterio fondamentale per la enunciazione di teorie fisiche e chimiche.
Tralasciando questa seconda questione, peraltro non marginale, e concentrandosi sull’aspetto della teoria concettuale, occorre arrendersi di fronte a una ennesima banalità non banale, ovvero alla evidenza che i princìpi stanno al principio, cioè all’inizio, prima che gli accadimenti abbiano preso forma, prima che l’esistenza sia passata dalla potenzialità all’attualità. Prima che i giochi siano stati fatti, insomma.
Anzi, dovrebbero proprio essere i principi che informano e modellano tutto ciò che sta per accadere.
Sembra un passaggio ovvio, di poco conto; invece, è uno snodo cruciale.
Tutti – o quasi – vogliono avere dei princìpi su cui modellare la propria esistenza: è un uomo di sani princìpi e in linea di principio sono d’accordo sono due espressioni – tra le tante – molto utilizzate per indicare la presenza di pilastri che reggono l’intelaiatura dell’agire o del pensiero.
Ma perché i principi siano sani, e quindi possano reggere il peso di tutto quello che viene in seguito producendo effetti positivi, devono essere formulati prima di ogni altra cosa.
Prima, per fortuna, non indica un senso strettamente temporale: i principi si possono formulare – o meglio, possono venire messi a punto – per tutta la durata della nostra vita; possono addirittura modificarsi, quando non capovolgersi. Una delle caratteristiche della intelligenza è la sua capacità di ripensarsi e di rimettersi in gioco spostando anche impercettibilmente il punto di vista e la conseguente prospettiva.
In questo caso, prima può venire inteso come davanti: davanti alla grande massa di convinzioni, giudizi e pregiudizi, usi e abitudini e tutto quello che appartiene al nostro mondo più interiore.
Prima, davanti e anche al di sopra: è noto infatti che un buon panorama – in questo caso, delle umane faccende – si gode da un punto di vista rialzato, dalla sommità di una collina anche non molto alta. Più in alto si sale, magari su un aereo o su un missile per lo spazio, più ci si rende conto di come esattamente stiano le cose; e spesso proviamo stupore perché a livello del terreno non avevamo idea di come realmente fosse strutturato l’ambiente in cui vivevamo.
Gli astronauti vedono cose che gli esseri umani normali non vedranno mai; e ancora di più i telescopi che navigano nello spazio. Sfuggono i dettagli, ma si comprende molto meglio l’insieme.
Il principio, dunque, non può essere qualcosa che si struttura stando immersi in una situazione: quello è per definizione il dominio dei pregiudizi e delle tradizioni; del sentito dire e del si è sempre fatto così. Della mancanza di critica autonoma, insomma.
I principi in base ai quali strutturiamo la nostra vita nascono invece da una visione critica personale e autonoma, affinata nel corso del tempo; e quanto più la critica nasce da una visione distaccata e globale, tanto più il/i principi saranno sani e ben strutturati, in grado di dirigere l’esistenza in una direzione precisa e in grado di donare benessere a chi la segue.
Detto in questo modo, sembra semplice; anzi, semplicistico. I buoni principi si formano, grazie alle esperienze che vivo giorno per giorno, e si strutturano automaticamente nel corso degli anni grazie a un processo di filtro che elimina le cose negative e tiene quelle positive; questi principi, di conseguenza, sono buoni buonissimi e non possono fare altro che condurmi a una esistenza rosea e perfetta. Fu così che vissi felice e contento.
Magari.
Le cose ovviamente stanno in maniera ben diversa: ripensamenti, fasi di stallo, contraddizioni, senso di impotenza, cali di interesse o semplice stanchezza giocano un ruolo tutt’altro che trascurabile lungo il percorso che porta alla formazione delle opinioni. Possedere un principio – o una serie di principi – è un processo lungo e delicato, che non ha fasi predefinite e spesso è la risultante di un itinerario poco o nulla rettilineo, costellato di incontri e di occasioni di riflessione; e spesso anche di inversioni a U. Non è detto che il cambio di rotta sia sempre un evento nefasto e negativo. Siamo la somma di tutte le persone che abbiamo incontrato, siamo soliti sentir dire, ed è verissimo: l’esempio – più di mille parole – ha un peso determinante nell’illuminare la strada che vogliamo percorrere durante la vita.
Uno dei mantra del Cammino della Benedizione (La Terra è sferica e non ha confini reali) dà la misura di come occorra procedere quando si formula un principio: ovvero, è necessario fare un passo indietro per contemplare la realtà nel suo insieme – o almeno, quella parte che ci interessa – da un punto di vista privilegiato, onnicomprensivo. Panoramico, verrebbe da dire.
Proprio qui si inserisce il momento contemplativo: esattamente come quando arriviamo in vetta a un monte e ci mettiamo ad ammirare quanto si apre alla nostra vista, così il momento meditativo spalanca lo scenario del nostro animo. È faticoso salire una montagna; è altrettanto faticoso trovare la concentrazione – e ancora una volta, il silenzio: questa volta quello interiore, il più difficile di tutti i silenzi – per guardare il nostro interno più profondo. In entrambi i casi, più è stato impegnativo il momento ascetico, più le viste che si spalancano sono impressionanti.
Scelte professionali o sentimentali, scelte di genere, aborto, eutanasia e divorzio, presenza del divino nella propria vita; oppure, le strategie su come affrontare la sofferenza o la comunicazione con l’altro, sono solo alcuni dei soggetti sui quali possiamo di volta in volta appuntare la nostra attenzione.
Più è vasto e importante l’argomento, più è necessario fare dei passi indietro per avere una vista a maggior raggio e per potere trarre conclusioni di qualche utilità. Questo tipo di attività spirituale va fatta in solitudine e silenzio, con calma e passione. Esattamente come per uno sport, anche il momento meditativo necessita di esercizio assiduo, regolare e costante. Riuscire a ottenere il vero silenzio interiore è una pratica difficile, ma non impossibile: è proprio l’esercizio quotidiano a renderci in grado di comprendere se stiamo andando nella direzione giusta e se ci sono dei progressi, anche se minimi, o se siamo immobili. Non ci aspettiamo una illuminazione spettacolare e improvvisa; non crediamo di arrivare all’ascesi pura in un solo passo e di poter discernere con chiarezza problemi e soluzioni – formulando, appunto, principi ferrei e onnicomprensivi – con facilità. Pazienza e umiltà, ancora una volta, sono la via per la soluzione.
Molti percorsi spirituali e religiosi, utilizzando tecniche talvolta molto simili, insegnano a guardare le cose con distacco: si susseguono tappe come il silenzio, il raccoglimento, l’allontanamento da emozioni e passioni, la contemplazione pura.
Come tutte le realtà umane, anche le pratiche spirituali sono un cammino giornaliero, un continuo divenire, con passi in avanti e talvolta balzi all’indietro. Questa è proprio la differenza tra principio e pregiudizio, come dicevamo prima: entrambi stanno prima degli eventi e li indirizzano, ma il primo è un continuo divenire ed è soggetto ai filtri del discernimento e della riflessione; il secondo è una realtà fissa, derivata spesso dall’altrui pensiero e non soggetto ad alcuna critica.
La strada non è facile, ma neanche impossibile. Porta risultati sorprendenti: si dice che se ogni uomo praticasse la meditazione per almeno dieci minuti al giorno, in una sola generazione scomparirebbero tutti i conflitti.
Cosa di cui, mai come oggi, abbiamo un grandissimo bisogno.